Un libro che parla della nuova società nichilista. In questo mondo, nato dalla disillusione dell’uomo rispetto alle antiche credenze e certezze, i giovani si relazionano in modo diverso rispetto al passato. Il loro nuovo modo di interagire con l’universo e con gli altri è virtuale. Da qui viene meno il principio generativo, poiché nella società tutto entra in crisi. Inoltre, le grandi concezioni politiche, religiose e ideologiche che la fondavano, progressivamente sono tramontate. I giovani passano sempre più tempo immersi in un “oceano” di social e dati virtuali, spesso dannosi, in quanto in esso sentono di “esistere”. Come riuscire a non farli “affogare”?
La risposta non è semplice, tuttavia l’autore spera in un nuovo “risorgimento” educativo che riporti in superficie i sentimenti e le curiosità delle nuove generazioni.Pensieri e Politica
Non solo Politica
mercoledì 27 marzo 2024
IL NIHILSISTENZIALISMO: LA PERCEZIONE DELL'ESISTERE NELL'ERA DEL TRANS-UMANO
sabato 27 gennaio 2024
ORIGINE E DEFINIZIONE DEL TERMINE BULLISMO: I PRIMI STUDI RELATIVI AL FENOMENO
Con il termine “bullismo”, si indica, in modo generale, e in ambito accademico, quella particolare forma di comportamento sociale, di tipo intenzionale e violento, tanto di natura fisica quanto psicologica, ripetuto nel corso del tempo, attuato nei confronti di persone considerate come più deboli dal soggetto o dal gruppo che perpetra uno o più di tali atti.
Proprio per questa sua natura, intrinsecamente relazionale (in quanto il bullo, per poter essere tale, ha bisogno del bullizzato), il bullismo è un fenomeno sociale, di tipo deviante, le cui cause non vanno, in alcun modo, ricercate in dinamiche individuali, quindi meramente psicologiche, bensì in contesti socio-culturali, la cui struttura è, essenzialmente, storica, dunque sociologica.
Nessun individuo nasce bullo, come non nasce buono o cattivo: diventa ciò che è, grazie all’insieme di esperienze e relazioni che riesce a costruire nell’arco del tempo.
I primissimi studi, inerenti il “bullismo”, sono stati svolti da psicologi, come il ricercatore norvegese Dan Olweus, che negli anni '70, per primo, utilizzò il termine inglese “bullying”, al fine di indicare quell’insieme di prepotenze prodotte all’interno di un gruppo di pari.
Nell’opera dal titolo “Bullismo a scuola”, Olweus, tenta di dare una definizione precisa di bullismo, scrivendo che “uno studente, è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato, e vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente, nel corso del tempo, ad azioni offensive, messe in atto da parte di uno o più compagni”.
Pertanto, un’azione, secondo Olweus, può essere ritenuta “offensiva”, quando, il soggetto che la compie, lo fa o in modo intenzionale, arrecando un danno/disagio alla persona verso cui, la stessa azione, è diretta.
Olweus, inoltre, ritiene che tali azioni negative, o prepotenti, possono essere compiute attraverso:
1) contatto fisico
2) parole ingiuriose
3) allontanamento o esclusione dal gruppo.
Per far in modo che si parli di bullismo, dunque, deve potersi creare, secondo lo psicologo norvegese, in un certo contesto sociale, uno squilibrio di forze, ossia una relazione di potere asimmetrica, per la quale, il ragazzo, esposto ai tormenti, evidenzia difficoltà nel difendersi.
Olweus, inoltre, considera l’aggressività, che caratterizza il “bullo”, come una risposta comportamentale, e non come un mero impulso irrefrenabile, da dover essere appagato, necessariamente, attraverso meccanismi psicodinamici. Infine, lo studioso, evidenzia degli elementi comuni, che possono provocare, o esasperare, tale risposta, quali: il clima della classe, le intromissioni degli insegnanti, l’ambiente familiare, gli aspetti individuali dei ragazzi.
Oltre agli studi realizzati da Olweus, ve ne sono stati altri, successivi, sempre d’impronta psicologica, che meritano di essere citati: come quelli dei due studiosi inglesi S. Sharp e P. K. Smith.
Secondo i due ricercatori britannici, “un comportamento da bullo, è un tipo di azione, che mira, deliberatamente, a far del male o danneggiare; spesso è persistente, talvolta, dura per settimane, mesi e persino anni, ed è difficile difendersi per coloro che ne sono vittime. Alla base della maggior parte dei comportamenti sopraffattori, c’è un abuso di potere, e un desiderio di intimidire e dominare l’altro” (S. Sharp e P. K. Smith 1985, pp. 87-88).
In Italia, invece, ad occuparsi del fenomeno bullismo, nel 1995, è stata la psicologa Ada Fonzi.
La Fonzi, in merito alle dinamiche eziologiche del bullismo, scrive alcune, note, pubblicazioni, rivolte all’analisi e allo studio di tutte quelle azioni, comportamenti e atteggiamenti, definiti, dalla stessa studiosa fiorentina, “intenzionali” e “aggressivi”.
Assieme alla propria équipe, la Fonzi, è arrivata alla conclusione che il termine inglese “bulliyng”, utilizzata dai colleghi del nord Europa, al fine di descrivere tutte quelle, particolari, azioni di prepotenza, esercitate da un gruppo di pari, nei confronti di uno o più individui, in Italia, debba essere sostituito dal termine “sopraffazione”.
Secondo la psicologa, infatti, sarebbe questo il termine più consono, e adeguato, nel descrivere tali, suddette, azioni socio-devianti.
Per questa ragione, la Fonzi, scrive che: “un ragazzo, subisce delle prepotenze, quando un altro ragazzo, o un gruppo di ragazzi, gli dicono cose cattive, o spiacevoli. È sempre prepotenza, quando un ragazzo riceve colpi, pugni, calci, minacce, viene rinchiuso in una stanza, riceve bigliettini offensivi, o, in ultimo, quando nessun altro ragazzo gli rivolge mai la parola”.
Questi fatti, spiega la Fonzi, tra i ragazzi, capitano con una certa frequenza, e, secondo la studiosa, chi subisce tali prepotenze, poi, non riesce a difendersi. Inoltre, prosegue la psicologa italiana, si tratta, sempre, di prepotenze, quando un ragazzo viene preso in giro, ripetutamente, e con cattiveria. Non si tratta, invece, sottolinea la ricercatrice, di prepotenze, quando due ragazzi, all’incirca della stessa forza, litigano tra di loro o fanno la lotta” (A. Fonzi 1997, p. 67).
Roberto De Vivo
sabato 6 gennaio 2024
I SOCIAL NETWORK NEL MONDO
Uno degli studi, tra i più rilevanti, nonché completi, rispetto alla realtà di internet, e ai suoi utenti, nel mondo, è, sicuramente, il “Digital 2020”, realizzato da “We Are Social” (una “socially-led creative agency”, in grado di intercettare, e decodificare, momenti culturali, che vengono riscritti alla velocità dei social media), in collaborazione con “Hootsuite”.
Lo studio “Digital 2020” afferma che, rispetto alla popolazione mondiale (composta, all’incirca, da 7 miliardi di persone), i dispositivi mobili (come smartphone o tablet), sono diventati, facilmente, accessibili a più di 5 miliardi di individui (che, in termini percentuali, rispetto alla popolazione mondiale, corrisponderebbe ad un valore che si aggira intorno al 67%).
Le persone che accedono ad Internet, sono più di 4 miliardi e mezzo (il 60% circa), con un incremento, rispetto all’anno 2019, del +7%.
Gli utenti “attivi”, riguardo ai mezzi “social”, sono, in totale, circa 4,14 miliardi: un valore tremendo, se rapportato, anche questo, rispetto a quello rilevato l`anno prima (un incremento del +10%).
Inoltre, sempre secondo lo studio “Digital 2020”, ad essere rilevante e` il dato riferito alla cosìddetta “penetrazione di Internet”: un dato statistico rilevato in rapporto alle diverse aree geografiche mondiali.
Innanzitutto, per “penetrazione” si intende, statisticamente, il livello di diffusione di internet, specificatamente ad una ben determinata regione del mondo: in poche parole, è il rapporto tra il numero di utenti di internet e il numero totale di abitanti, di una specifica area geografica.
Naturalmente, la “penetrazione” varia da regione a regione, passando, ad esempio, dal 22% dell’Africa centrale, fino ad arrivare a punte del 95% nelle regioni dell’Europa settentrionale.
2. L’ UTILIZZO DEI SOCIAL NETWORK PER AREA GEOGRAFICA NEL MONDO
L’utilizzo dei social network, nel mondo, ha raggiunto proporzioni, davvero, importanti, arrivando, perfino, a modificare stili di vita, comportamenti individuali, sociali e modelli relazionali.
Nonostante la forte crescita, avvenuta negli anni, secondo “We Are Social”, permane, comunque, un forte “digital divide” (espressione nata negli Stati Uniti, durante la presidenza Clinton, nel periodo compreso tra l’anno 1993 e il 2001, con lo scopo di indicare la disparità, in merito alla possibilità di accesso ai servizi telematici, tra gli abitanti della popolazione americana), in particolar modo tra i paesi sviluppati e sottosviluppati.
Chiaramente, i motivi di esclusione, secondo il rapporto “Digital 2020”, comprendono diverse variabili, tra cui: le condizioni economiche, il livello di istruzione, la qualità delle infrastrutture e le differenze di età o di sesso.
È interessante osservare, tramite un’attenta analisi dei dati, di seguito riportati, quali siano i social network “più famosi”, cioè, quelli più utilizzati, nel mondo, dagli utenti.
E` stato rilevato come l’utilizzo dei social network, nel mondo, sia misurato, anche, sulla base del numero di “utenti unici”, cioè quelli iscritti, ogni messe, sulle varie piattaforme digitali.
1. DATI RIFERITI AI SOCIAL NETWORK PIÙ UTILIZZATI NEL GLOBO (dati aggiornati al 19 ottobre 2020).
· Facebook: 2,7 miliardi di utenti
· Youtube: 2,0 miliari di utenti
· WhatsApp: 2,0 miliardi di utenti
· Facebook Messenger: 1,3 miliardi di utenti
· Weixin/WeChat: 1,2 miliari di utenti
· Instagram: 1,15 miliardi di utenti.
Rispetto a questi, seguono social network minori, come TikTok (689 milioni di utenti), QQ (648 milioni), QZONE (517 milioni), Sina Weibo (523 milioni). Reddit (430 milioni), Snapchat (433 milioni), Twitter (353 milioni), Pinterest (416 milioni) e Kuaishou (430 milioni).
Per quanto riguarda l’Italia, invece, l’indice di “penetrazione di Internet” si attesta intorno all’82% della popolazione, ma, naturalmente, il dato cambia, radicalmente, tra le varie fasce d’età, passando dall’89% delle persone di età compresa tra 25 e i 44 anni al 28,8% delle persone con 65 e più anni (dati Istat).
Il dato peggiore è quello riferito al numero di connessioni giornaliere, effettuate per mezzo di dispositivi mobili (smartphone, tablet), in rapporto alla popolazione totale italiana (che è composta da circa 60 milioni di residenti): ogni giorno, in Italia, avvengono, in media, circa 80 milioni di connessioni a Internet.
Per quanto riguarda il numero degli utenti che usano i social network, in Italia, si attesta intorno ai 35 milioni (il 58% della popolazione totale). La crescita, rispetto al 2019, si attesta intorno al +6,4%: ben 2,1 milioni in più di italiani utilizzatori di social network, tra i più vari. Gli utenti attivi sui social, da dispositivi mobili, sono il 98%.
2. I SOCIAL NETWORK PIÙ UTILIZZATI IN ITALIA
· Facebook: 29 milioni di utenti
· Instagram: 20 milioni di utenti
· Snapchat: 3.05 milioni di utenti
· Twitter: 3,17 milioni di utenti
· Linkedin: 14 milioni di utenti
Roberto De Vivo
Dottore Magistrale In Filosofia Ed Etica Delle Relazioni Umane
lunedì 1 maggio 2023
La costante presenza dell'angoscia di vivere
Con
l`avvento della societa` capitalistica, a fare da sfondo esistenziale, nella
vita umana, non e` piu` Dio, ma il denaro e il capitale.
Dio, nella
societa` capitalistica, perde, totalmente, di valore, senso e significato; per
questa ragione, ad ogni sentimento di speranza, che, nelle epoche storiche
precidenti, l`uomo, provava, nel rapporto al mondo, agli altri e alla propria
interiorita`, subentra, invece, un sentimento di angoscia, di paura perenne nel
domani, mentre la fiducia nell`altro, viene sostituita, dall`idea, terribile,
che ogni altro, non e` nient`altro che un` antagonista, un nemico da
distruggere, ad ogni costo.
Nell`era del
capitale, e della grande finanza, infatti, tutti gli uomini, sono, tra loro, in
una, infinita competizione distruttiva: ogni altro, rappresenta,
potenzialmente, un ostacolo, pericoloso, alla realizzazione dei propri sogni e
obiettivi, quindi, per forza di cose, diventa piu` `utile`, e conveniente, rimuoverlo dal proprio percorso di vita,
piuttosto che aiutarlo in qualche modo.
Nell`epoca
del `tutti contro tutti`, e` l`individualismo a prendere piede, determinando un
nuovo tipo di societa` umana, mai vista prima nella storia: la societa`
nichilista.
Nietzsche,
indica con il termine `nichilismo`,
quella, specifica,`volonta` del nulla`, provocata da un atteggiamento di
disgusto nei confronti del mondo circostante e della realta` in generale. E` la
manifestazione, concreta, della preannunciata `morte di Dio`. E` la specifica
situazione dell`uomo moderno, e contemporaneo, che, non credendo piu` nei
valori supremi di Dio (in quanto `Dio e` morto`), della verita` e del bene, ne`
in un senso e in uno scopo metafisico delle cose, finisce per avvertire, di
fronte all`essere, lo sgomento del vuoto e del nulla.
Nei famosi
`frammenti postumi`, pubblicati tra il 1887 e il 1888, Nietzsche, in merito al
`nichilismo`, scrive che: `manca il fine; manca la risposta al `perche``; tutti
i valori supremi si svalorizzano`.
Con
l`avvento della seconda rivoluzione industriale, l`uomo, percepisce, nel
proprio esistere, che non vi e` alcun obiettivo, possibile, da potere
realizzare, e che il `tutto intorno a se``, in realta`, e` `niente`: totalmente
vuoto di senso e finto di significato.
Per mezzo di
Dio, e della fede, l`uomo, aveva la possibilita` di costruire la propria
esistenza, mediante valori, etico-morali, di stampo cristiani, immaginando
obiettivi, e scopi ultimi, da potere realizzare concretamente, mentre, oggi,
quell`insieme di possibilita`, diventa, per lo stesso, un teatro di paura e
angoscia: dove nessuna speranza puo` piu` alleviare quel terribile, devastante,
e immobilizzante, dolore esistenziale, che fa da sfondo ad ogni emozione,
pensiero e azione umana.
Roberto De
Vivo
giovedì 13 aprile 2023
La vita
É un mistero,
Quello dell'entrata
in un luogo
costantemente in bilico
e in cui l'uomo, in ogni istante
è, perennemente, teso
tra ciò che è
e ciò che vorrebbe essere.
É un cammino
insidioso
pericoloso
terribilmente dinamico
In cui ciò che è
non sarà più.
Spazio e tempo
si fondono in un punto
dove nulla e essere
tutto e niente
all'unisono
esistono
nell'unità contrastante
come battito di cuore
di un'esistenza disorientata
spaventata
da quell'angosciante punto di arrivo
che è
in realtá
un ritorno
a quella condizione
Iniziale
di entrata misteriosa
insensata
dove ogni perché
permane nello sfondo
di un eco inaudibile: la vita.
Roberto De Vivo
mercoledì 12 aprile 2023
Secondo Jung, siamo esseri immortali, e io ve lo dimostro!!
Nei sogni, ad esempio, afferma Jung, è possibile constatare questo aspetto di libertá della psiche individuale, che, al contrario, il corpo non possiede.
Ogni volta che si sogna, infatti, si ha accesso ad un mondo senza barriera alcuna: non esiste spazio e nemmeno tempo.
Si potrebbe, nel sogno, esperire di essere al periodo storico dell'antica roma cesariana, e, al contempo, appunto, nel mondo odierno, con un battito di ciglia: quindi, avendo esperienza, nell'identico istante onirico, di due tempi, oceanicamente diversi, se ne deduce che, nel luogo psichico, in cui si vive sognando, non esiste alcun tempo.
Anche lo spazio, insieme al tempo, è nullo in noi: si sogna di volare, di correre a terra, di cadere da un grattacielo, di vivere in Inghilterra, o cose simili, eppure, ad un tratto, si osserva di essere nella propria casa, nel proprio letto.
Ora, se nel luogo psichico (come nel sogno), non esistono barriere e leggi spazio-temporali, allora, per effetto logico, se ne deduce, necessariamente, che la psiche vive fuori dal tempo, quindi è eterna, e dallo spazio, quindi è infinita.
L'anima, come fu definita, per la prima volta, dal pensiero filosofico antico, esiste, da sempre e per sempre, oltre ad essere infinita, non avendo alcun limite locale.
In quanto eterna e infinita, non ha esperienza della 'fine': mentre il corpo, vincolato da leggi spazio-temporali, ad un certo punto ha.
Dunque, non si muore 'realmente', cioè nella totalitá della realtá che ognuno di noi è, ma solo 'apparentemente': soltanto se si osserva la realtá, esclusivamente sul piano 'materiale' ed 'empirico'.
L'uomo, è un individuo immortale, non avrá mai alcuna fine: e, per implicazione logico-causale, alcun inizio.
Roberto De Vivo
lunedì 10 aprile 2023
Bulli si diventa, un progetto filosofico e un patto tra famiglia e scuola per fronteggiare l'aggressività
INTERVISTA ESTRAPOLATA DAL GIORNALE ONLINE 'PERUGIATODAY' (DEL 01-06-021)
lL volume scritto dal professor
Gaetano Mollo e Roberto De Vivo è frutto di due anni di sperimentazione negli
istituti scolastici
Bullismo e
cyberbullismo costituiscono un’esperienza di sofferenza quotidiana per tanti
giovani: il 68% di essi dichiara di aver assistito ad episodi di bullismo, o
cyberbullismo, mentre il 61% ne è stato vittima.
Secondo i
rilevamenti Istat ragazzi e ragazze esprimono sofferenza per episodi di
violenza psicologica subita da parte di coetanei (42,23%) e in particolare il
44,57% delle ragazze segnala il forte disagio provato dal ricevere commenti non
graditi di carattere sessuale online. Dall’altro lato l’8,02% delle ragazze
ammette di aver compiuto atti di bullismo, o cyberbullismo, percentuale che
cresce fino al 14,76% tra i ragazzi. Oltre il 50% dei ragazzi tra gli 11 e 17
anni ha subito episodi di bullismo, e tra chi utilizza quotidianamente il
cellulare (85,8%), ben il 22,2% riferisce di essere stato vittima di
cyberbullismo.
Le
statistiche confermano anche che il cyberbullismo colpisce di più le ragazze,
tanto che il 12,4% delle giovani ha ammesso di esserne state vittima, rispetto
al 10,4% dei ragazzi. Questa differenza è in particolare determinata dalle
sofferenze provocate da commenti a sfondo sessuale, subiti dal 32% delle
ragazze, contro il 6,7% dei ragazzi. Le provocazioni in rete che disturbano il
9,5% degli adolescenti, colpiscono di più i maschi (16%) delle femmine (7,2%).
Tra gli
altri rischi che si corrono sul web i giovani segnalano la perdita della
propria privacy (49,32%) il revenge porn (41,63%) il rischio di adescamento da
parte di malintenzionati (39,20%) stalking (36,56%) e di molestie online
(33,78%).
Il bullismo,
e il cyberbullismo ancor di più, sono fenomeni che risentono fortemente dei
tempi in cui viviamo: egoismo, narcisismo, mancanza di empatia, assenza di
amicizia.
“Sono tre i
cerchi all’interno dei quali possiamo classificare i comportamenti bullizzanti
– afferma il professor Gaetano Mollo, ordinario di Pedagogia generale e sociale
all’Università di Perugia – Sociologico, quello in cui viviamo una realtà
violenta, piena di indifferenza e solitudine, una realtà isolante che la scuola
rafforza con i banchi singoli – prosegue Mollo – Uno spazio sociale in cui
l’aggressività che nasce dal mancato riconoscimento personale viene scaricata
sugli altri. Si diventa bulli per alleggerire l’aggressività che i ragazzi non
riescono a trasportare nello sport. Comportamenti aggressivi per raccogliere
attorno a sé dei seguaci, perché il bullo si sente protagonista in questo modo
e il sadismo diventa un modo per emergere nella vita quotidiana. Si diventa
bulli per concause e mancanze personali e strutturali”.
Gli altri
due cerchi sono quello psicologico, afferente alle carenze educative, al
bisogno di sentirsi importanti, all’assoluta mancanza di rispetto per sé e gli
altri; e quello pedagogico: la famiglia non segue il giovane o produce
comportamenti devianti, la scuola non insegna a superare le distanze e a
cooperare, il quartiere è un ambiente ostile, che spinge all’isolamento.
Il bullismo
è al centro di un progetto di ricerca dell’Università di Perugia (portato al
momento solo nella scuola media di Marsciano, nell’ambito di una giornata con
100 ragazzi e la psicologa, Jessica Barbanera) che prevede la somministrazione
di due questionari per capire quanto i ragazzi sanno di inclusività. Da questo
progetto è nato anche un libro: “Bulli si diventa”, opera di Gaetano Mollo e
Roberto De Vivo, 2F editore con il contributo del Lions Club di Marsciano.
“L’Umbria
non è a basso rischio bullismo, perché non si tratta di dati statistici: meno
persone, quindi meno casi – afferma Roberto De Vivo, dottore in filosofia e pedagogista
- Manca l’educazione, non c’è empatia, non si scoprono gli elementi
fondamentali di una relazione tra pari e, infine, mancano i valori – prosegue
De Vivo – I giovani messi di fronte a parole significative relative
all’inclusività, alla violenza, al bullismo, all’amicizia, esprimono bene il
concetto dietro la parola, ma quando si tratta di metterle in connessione con
le azioni si nota uno scollamento: a parole nessuno è bullo, ma nei fatti le
cose non vanne nella stessa direzione”.
Bulli, quindi,
non si nasce, ma lo si può diventare. “La nostra società in cui i giovani
vivono e derivano c’è già nella ‘Gaia scienza’ di Nietsche, laddove parla della
morte dei valori occidentali – specifica De Vivo - Una società senza valori,
nichilista, senza compassione o esempi da seguire. I ragazzi vivono nella
società dell’avere e non dell’essere, dell’essere ciò che si possiede: se non
ho nulla in mano, non sono niente – dice ancora De Vivo – Per questo l’altro è
visto come un nemico, o perché ha più di me o perché vuole togliermi qualcosa.
Così anche il bullismo diventa fine a se stesso”.
Cosa emerge
dalla ricerca, confluita poi nel libro? Emerge un dato preoccupante perché il
bullismo è presente tra i giovani, non passa il concetto di inclusività, di
cooperazione, diaiuto e amicizia. I ragazzi percepiscono cosa è normale nei
rapporti tra simili, ma agiscono al contrario perché subentrano elementi
psicologici che dissolvono la conseguenza pensare e agire.
“Il
cyberbullismo porta alle estreme conseguenze il fenomeno perché non c’è più
neanche il confronto reale – dice il professo Mollo – Siamo di fronte al
bullismo ai massimi livelli, condiviso all’infinito in rete. L’episodio di
bullismo compiuto e ripreso, passa dal circolo ristretto del bullo e dei suoi
seguaci al mondo – prosegue Mollo - L’essere vittima nella realtà si ferma nel
momento in cui si compie l’atto, nel cyberbullismo l’atto è moltiplicato ogni
volta che qualcuno guarda il filmato, viene amplificato nel web. E non si può
fermare, nla vittima non si può confrontare con il bullo e questo non ne
prenderà mai coscienza”.
Come
intervenire? “La prevenzione come prima possibile soluzione: famiglia e scuola
devono cooperare con finalità educative, insieme con lo sport, con le attività
degli oratori per un corretto sviluppo morale e sociale della persona –
riferisce De Vivo – Una scuola aperta con attività di relazione al centro del
proprio essere, per portare a riconoscere l’altro e cooperare. La scuola non
deve essere luogo di trasmissione di sapere inteso come informazioni usa e
getta, ma deve essere luogo di stimolo del pensiero critico, della riflessione.
La filosofia può diventare uno strumento per fronteggiare il bullismo:
attraverso il dialogo, la discussione tra pari, la valorizzazione dei rapporti
e delle amicizie, si conduce la persona alla scoperta che non siamo tutti uguali
come persone, che siamo diversi, ma che l’accettazione di questa diversità, di
fronte alla parità valoriale delle persone, ci permette di mettere in atto una
relazione basata sul riconoscimento di sé e dell’altro, nel rispetto e nella
tolleranza degli altri e delle loro idee”.