INTERVISTA ESTRAPOLATA DAL GIORNALE ONLINE 'PERUGIATODAY' (DEL 01-06-021)
lL volume scritto dal professor
Gaetano Mollo e Roberto De Vivo è frutto di due anni di sperimentazione negli
istituti scolastici
Bullismo e
cyberbullismo costituiscono un’esperienza di sofferenza quotidiana per tanti
giovani: il 68% di essi dichiara di aver assistito ad episodi di bullismo, o
cyberbullismo, mentre il 61% ne è stato vittima.
Secondo i
rilevamenti Istat ragazzi e ragazze esprimono sofferenza per episodi di
violenza psicologica subita da parte di coetanei (42,23%) e in particolare il
44,57% delle ragazze segnala il forte disagio provato dal ricevere commenti non
graditi di carattere sessuale online. Dall’altro lato l’8,02% delle ragazze
ammette di aver compiuto atti di bullismo, o cyberbullismo, percentuale che
cresce fino al 14,76% tra i ragazzi. Oltre il 50% dei ragazzi tra gli 11 e 17
anni ha subito episodi di bullismo, e tra chi utilizza quotidianamente il
cellulare (85,8%), ben il 22,2% riferisce di essere stato vittima di
cyberbullismo.
Le
statistiche confermano anche che il cyberbullismo colpisce di più le ragazze,
tanto che il 12,4% delle giovani ha ammesso di esserne state vittima, rispetto
al 10,4% dei ragazzi. Questa differenza è in particolare determinata dalle
sofferenze provocate da commenti a sfondo sessuale, subiti dal 32% delle
ragazze, contro il 6,7% dei ragazzi. Le provocazioni in rete che disturbano il
9,5% degli adolescenti, colpiscono di più i maschi (16%) delle femmine (7,2%).
Tra gli
altri rischi che si corrono sul web i giovani segnalano la perdita della
propria privacy (49,32%) il revenge porn (41,63%) il rischio di adescamento da
parte di malintenzionati (39,20%) stalking (36,56%) e di molestie online
(33,78%).
Il bullismo,
e il cyberbullismo ancor di più, sono fenomeni che risentono fortemente dei
tempi in cui viviamo: egoismo, narcisismo, mancanza di empatia, assenza di
amicizia.
“Sono tre i
cerchi all’interno dei quali possiamo classificare i comportamenti bullizzanti
– afferma il professor Gaetano Mollo, ordinario di Pedagogia generale e sociale
all’Università di Perugia – Sociologico, quello in cui viviamo una realtà
violenta, piena di indifferenza e solitudine, una realtà isolante che la scuola
rafforza con i banchi singoli – prosegue Mollo – Uno spazio sociale in cui
l’aggressività che nasce dal mancato riconoscimento personale viene scaricata
sugli altri. Si diventa bulli per alleggerire l’aggressività che i ragazzi non
riescono a trasportare nello sport. Comportamenti aggressivi per raccogliere
attorno a sé dei seguaci, perché il bullo si sente protagonista in questo modo
e il sadismo diventa un modo per emergere nella vita quotidiana. Si diventa
bulli per concause e mancanze personali e strutturali”.
Gli altri
due cerchi sono quello psicologico, afferente alle carenze educative, al
bisogno di sentirsi importanti, all’assoluta mancanza di rispetto per sé e gli
altri; e quello pedagogico: la famiglia non segue il giovane o produce
comportamenti devianti, la scuola non insegna a superare le distanze e a
cooperare, il quartiere è un ambiente ostile, che spinge all’isolamento.
Il bullismo
è al centro di un progetto di ricerca dell’Università di Perugia (portato al
momento solo nella scuola media di Marsciano, nell’ambito di una giornata con
100 ragazzi e la psicologa, Jessica Barbanera) che prevede la somministrazione
di due questionari per capire quanto i ragazzi sanno di inclusività. Da questo
progetto è nato anche un libro: “Bulli si diventa”, opera di Gaetano Mollo e
Roberto De Vivo, 2F editore con il contributo del Lions Club di Marsciano.
“L’Umbria
non è a basso rischio bullismo, perché non si tratta di dati statistici: meno
persone, quindi meno casi – afferma Roberto De Vivo, dottore in filosofia e pedagogista
- Manca l’educazione, non c’è empatia, non si scoprono gli elementi
fondamentali di una relazione tra pari e, infine, mancano i valori – prosegue
De Vivo – I giovani messi di fronte a parole significative relative
all’inclusività, alla violenza, al bullismo, all’amicizia, esprimono bene il
concetto dietro la parola, ma quando si tratta di metterle in connessione con
le azioni si nota uno scollamento: a parole nessuno è bullo, ma nei fatti le
cose non vanne nella stessa direzione”.
Bulli, quindi,
non si nasce, ma lo si può diventare. “La nostra società in cui i giovani
vivono e derivano c’è già nella ‘Gaia scienza’ di Nietsche, laddove parla della
morte dei valori occidentali – specifica De Vivo - Una società senza valori,
nichilista, senza compassione o esempi da seguire. I ragazzi vivono nella
società dell’avere e non dell’essere, dell’essere ciò che si possiede: se non
ho nulla in mano, non sono niente – dice ancora De Vivo – Per questo l’altro è
visto come un nemico, o perché ha più di me o perché vuole togliermi qualcosa.
Così anche il bullismo diventa fine a se stesso”.
Cosa emerge
dalla ricerca, confluita poi nel libro? Emerge un dato preoccupante perché il
bullismo è presente tra i giovani, non passa il concetto di inclusività, di
cooperazione, diaiuto e amicizia. I ragazzi percepiscono cosa è normale nei
rapporti tra simili, ma agiscono al contrario perché subentrano elementi
psicologici che dissolvono la conseguenza pensare e agire.
“Il
cyberbullismo porta alle estreme conseguenze il fenomeno perché non c’è più
neanche il confronto reale – dice il professo Mollo – Siamo di fronte al
bullismo ai massimi livelli, condiviso all’infinito in rete. L’episodio di
bullismo compiuto e ripreso, passa dal circolo ristretto del bullo e dei suoi
seguaci al mondo – prosegue Mollo - L’essere vittima nella realtà si ferma nel
momento in cui si compie l’atto, nel cyberbullismo l’atto è moltiplicato ogni
volta che qualcuno guarda il filmato, viene amplificato nel web. E non si può
fermare, nla vittima non si può confrontare con il bullo e questo non ne
prenderà mai coscienza”.
Come
intervenire? “La prevenzione come prima possibile soluzione: famiglia e scuola
devono cooperare con finalità educative, insieme con lo sport, con le attività
degli oratori per un corretto sviluppo morale e sociale della persona –
riferisce De Vivo – Una scuola aperta con attività di relazione al centro del
proprio essere, per portare a riconoscere l’altro e cooperare. La scuola non
deve essere luogo di trasmissione di sapere inteso come informazioni usa e
getta, ma deve essere luogo di stimolo del pensiero critico, della riflessione.
La filosofia può diventare uno strumento per fronteggiare il bullismo:
attraverso il dialogo, la discussione tra pari, la valorizzazione dei rapporti
e delle amicizie, si conduce la persona alla scoperta che non siamo tutti uguali
come persone, che siamo diversi, ma che l’accettazione di questa diversità, di
fronte alla parità valoriale delle persone, ci permette di mettere in atto una
relazione basata sul riconoscimento di sé e dell’altro, nel rispetto e nella
tolleranza degli altri e delle loro idee”.
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