E se la morte non esistesse? Per l’uomo cosa cambierebbe? Come si modificherebbe la nostra realtà, la vita quotidiana, le relazioni che creiamo e curiamo, le dinamiche familiari, sociali, economiche, politiche? E il concetto di futuro? Come si tramuterebbe? Avrebbe senso ancora la parola “speranza” se venisse meno il concetto di morte? Di seguito esporrò la mia teoria riguardante la prova logica della non esistenza del termine “morte”, partendo dalla sua etimologia.
Morte è da ricondursi al latino mors = morte, dal verbo mori
= morire, a sua volta, derivato dalla radice sanscrita mar- trasformatasi in
seguito in mor-. Nello zendo, (la lingua dei testi sacri zoroastriani
dell'antico Iran) morte si dice mara da cui l'italiano marasma = stato estremo
di consunzione. Anche il greco antico ha importato questa radice mar-: il verbo
μαραίνω (maraino) significa consumare, distruggere.
Ora, è possibile che la materia si consumi/distrugga?
Antoine-Laurent Lavoisier, chimico di fine settecento espose
un principio fondamentale della chimica, tuttora valido, noto come “Principio
di conservazione della massa”. In sintesi questa legge stabilisce che la
materia non si crea né tantomeno si distrugge, tutto si trasforma.
Partendo da questo famosissimo principio della chimica è
possibile dedurre che ogni cosa esistente al mondo, nella forma della sostanza,
non è né creato ne distrutto, ma semplicemente, nel corso del tempo, cambia la
propria forma, tramutandosi in altro.
Eraclito di Efeso, filosofo presocratico del sesto secolo
avanti cristo, afferma che l’essenza più profonda e intima della realtà è il
logos: il tempo.
Ogni cosa che esiste, secondo il filosofo di Efeso, essendo
immersa nel tempo, cambia divenendo sempre altro da sé. Il divenire è l’elemento
caratterizzante degli enti che popolano la terra. Chiaramente le cose,
divenendo per loro natura, non nascono: ci sono da sempre, come il cosmo e l’intera
realtà, ma in una modalità diversa.
Fino al 1905 tutti pensavano che la massa e l'energia
fossero due realtà fisiche molto diverse, completamente separate e senza punti
di contatto. Ma Einstein in quell'anno comprese che queste due realtà fisiche,
apparentemente così diverse, sono in verità strettamente legate da un valore
numerico molto preciso: il quadrato della velocità della luce nel vuoto (c²).
Questa geniale e semplice formula, che all'epoca fu assolutamente
rivoluzionaria, stabilisce che massa ed energia sono equivalenti, come se
fossero le due facce della stessa “medaglia”.
Insomma, se nulla si crea e distrugge ma tutto si trasforma
e, inoltre, materia ed energia sono la medesima cosa (ogni pezzo di materia può
trasformarsi in energia e viceversa) allora la morte cessa di esistere: non si
distrugge nulla in questo mondo ma tutto cambia e si trasforma, raggiungendo
forme sempre diverse.
Eliminata la morte, bisognerebbe ora capire come le cose
cambiano nella realtà, cioè vi è un ordine ben preciso secondo cui le cose
cambiano e divengono sempre altro, oppure il cambiamento è del tutto caotico e
casuale?
E’ sempre Eraclito a venirci incontro e a rispondere a
questa domanda: tutto ciò che cambia nel tempo, non si modifica casualmente e
in modo disordinato ma segue una precisa direzione temporale: precisa e
determinata.
Tutti noi abbiamo esperienza quotidiana di ciò che afferma
questo grande filosofo pre-socratico, basta osservare il mondo che ci circonda:
avete visto mai un anziano che diventa maturo per tramutarsi in infante? Certo
che no, si ha esperienza sempre dell’esatto contrario.
Questo significa che le cose mutano secondo un ordine ben
strutturato e che il tempo, in quanto logos (dal greco ragione) ha una propria
razionalità, logica, un proprio senso! Nulla avviene per caso, tutto diviene
secondo una ragione.
Ora, dall’esperienza di tutti i giorni è semplice costatare
che ogni cosa che muta si sviluppa, secondo ragione e regole esatte, verso
qualcosa di nuovo e progressivo: il bambino ha in sé già tutto dell’adulto che sarà,
ma ha bisogno di tempo (logos) per maturare ed esternare le proprie qualità,
sviluppandosi e progredendo verso ciò che in sé già è.
Diventiamo ciò che già è scritto in noi, nel corso del
tempo, secondo un ordine preciso. Ciò che diventeremo, seguendo il ragionamento
del bambino che poi muta nell’adulto, sarà sempre qualcosa di migliore.
Crescere significa proprio questo.
Ma cosa centra questo discorso con la “non esistenza della
morte”? Diciamo che centra tutto: se noi non siamo stati mai creati né mai
verremo meno, dal punto di vista sostanziale, e inoltre saremo sempre qualcosa
di migliore, rispetto a ciò che già siamo, è possibile concludere che dopo l’anzianità
diventeremo qualcos’altro, un modello aggiornato del nostro essere in cui la
vita si manifesterà secondo forme qualitativamente migliori, sicuramente più
progredite.
Dunque, e finisco, quello che le religioni e le tradizioni
umane definiscono “morte” sarà un inizio, molto più bello e interessante.
Morire, secondo questa mia teoria, significa vivere in altre forme. Sempre più
avanti. Sempre più belle.
Roberto De Vivo
Dottore Magistrale in Filosofia
Ho sempre più dubbi sulla effettiva esistenza della morte. Tutti la danno per scontata ma quante cose date per scontate in passato si sono poi dimostrate non esistere o essere completamente diverse da come si pensava fossero... A pensarci bene la morte riguarda sempre gli altri...
RispondiEliminaSono senza parole. Un articolo straordinario. Colto, lineare e comprensibile nonostante la sua complessità’. Penso che per me sarà’ motivo di riflessione per più’ giorni anche perché’ il mio appuntamento con il divenire già’ comincio ad intravederlo!
RispondiEliminaLa ringrazio, di vero cuore, per il complimento, riferito alla mia riflessione, riguardo alla 'non esistenza della morte'. Spero le serva per riflettere, seriamente, intorno al tema in questione, al fine di procurarle benessere esistenziale, oltre che psicologico. Un grande abbraccio.
EliminaRoberto De Vivo
ps. ho anche una mia pagina youtube, se le interessa.
Apprezzo e condivido le considerazioni. L'attribuire al fenomeno della morte una realtà definitiva, significa non considerare il fenomeno universale dell'evoluzione, come legge karmica degli universi - fisico, dinamico e psichico - soggetta al ciclo completo dell'involuzione-evoluzione. Per noi esseri umani si tratta di uscire dal campo gravitazionale di segno negativo, per entrare in quello positivo, di cui la morte è momento dinamico. Per questo la morte è condizione di rinascita e la nascita è condizione di morte. E' in tale prospettiva che il principio è condizione della fine ma la fine genera il principio, tale che l'energia nel farsi materia sia sempre generatrice di rinascita.
RispondiEliminaCondivido pienamente la sua riflessione. Cari saluti.
EliminaRoberto De Vivo