Si avvicina il
pagamento della seconda rata dell'Imu e Confcommercio lancia l'allarme: altro
che maggiori entrate per 11 miliardi rispetto all'Ici, l'incremento sarà di
oltre 18 miliardi. Conti alla mano gli italiani subiranno quest'anno un
prelievo fiscale più pesante di circa 130 miliardi di euro rispetto all'anno
passato. In dodici mesi la "cura Monti" ha bruciato un 10% della
ricchezza nazionale, complice il peso del debito e l'assenza di crescita.
Venerdì, 7 dicembre 2012 - 10:35:00Venire fuori dagli errori del passato costa. Se poi un paese accumula un debito di quasi 2 mila miliardi di euro, pari ad oltre il 120% del suo Pil (secondo l’Ocse rischia di balzare a fine anno al 127%, dal 119,8% di fine 2011, per arrivare al 131,4% a fine 2014), costa ancora di più, come gli italiani stanno imparando, a proprie spese, a comprendere. Il mix di tagli e aumenti d’imposta che il governo Monti ha varato, in alcuni casi prendendo le mossa da provvedimenti messi in cantiere già dal precedente governo Berlusconi, è finora stato più sbilanciato sulle ultime piuttosto che sui primi.
Per la precisione tra Imu (che ha sostituito l’Ici),
Tares (che dal prossimo anno sostituirà la Tarsu), maggiori accise sui
carburanti, tasse sulle imbarcazioni, aerei e auto di lusso, aumenti dell’Iva
(dal 20% al 21%), armonizzazione della tassazione sulle rendite finanziarie al
20% (esclusi titoli di stato e buoni postali, per cui l’imposta resta al 12,5),
“mini patrimoniale” su titoli e strumenti finanziari, Tobin tax, scudi fiscali,
contributi di solidarietà, riduzione della deducibilità di alcune voci di spesa
come l’auto aziendale, più elevati acconti sulle riserve matematiche delle
assicurazioni, riforma del lavoro e altre decine di singoli provvedimenti, il
conto complessivo è stato stimato, prudenzialmente, in 120 miliardi di euro di
maggiore prelievo fiscale negli ultimi dodici mesi.
In realtà il conto, per le tasche degli italiani,
potrebbe essere ancora maggiore perché già oggi Confcommercio ha fatto sapere
che, tenendo conto anche della media ponderata delle aliquote deliberate dagli
8 mila Comuni italiani, la stangata dell’Imu (il 17 del mese si deve pagare il
saldo) sarà più pesante del previsto: non 11 miliardi di maggiore gettito
rispetto all’Ici (9,07 miliardi nel 2011), per un totale di circa 20 miliardi,
come stimato dal ministero dell’Economia e finanze, ma oltre 18 miliardi di
maggiori entrate fiscali, per un prelievo complessivo di 28,21 miliardi nel
2012.
Insomma: a fine anno gli italiani potrebbero aver
dovuto pagare quasi 130 miliardi di euro in più che nel 2011, uno “svuotamento
di tasche” aggiuntivo pari a circa l’8,25% del Pil, che intanto sarà sceso
rispetto a dodici mesi fa di un 2,2% (e un altro 1% rischia di perdere l’anno
venturo), se le stime dell’Ocse si riveleranno corrette. Nel complesso solo
quest’anno un 10% abbondante di ricchezza nazionale sarà così stata “bruciata”
dall’effetto congiunto della crisi economica e del rigore che il premier Monti
ha voluto/dovuto seguire stante i rigidi limiti imposti all’Italia dalla sua
adesione alla comunità europea oltre che dal peso del proprio debito
pregresso.
Ancora una volta è evidente come l’attuale ricetta di
ispirazione “tedesca” sia di per sé insufficiente a farci risalire la china,
nonostante l’ottimismo continuamente professato dallo stesso Monti, che a suo
merito può in parte ascrivere il calo degli spread tra i titoli di stato
italiani e tedeschi attorno al 3%, la metà circa del livello a cui si trovavano
all’attuo del suo insediamento a Palazzo Chigi. Una riduzione che, calcoli alla
mano, dovrebbe aver alleviato il conto sul debito pubblico di circa 25 miliardi
di euro, ma chi sperasse che questo “tesoretto” possa essere girato a breve in
nuova spesa pubblica per cercare di far ripartire la crescita è destinato a
rimanere deluso, come ha ancora due giorni fa ricordato il ministro
dell’Economia e finanza, Vittorio Grilli.
“Non è previsto da nessuna regola contabile, e tanto
meno dalle regole Ue, che si possano anticipare gli eventuali risparmi sui
tassi d’interesse”, per loro natura troppo legati a “fattori volatili”, ha
spiegato Grilli. Così non resta che una sola vera via d’uscita per evitare di
fare la fine della Grecia o della Spagna: riuscire a convincere i partner
europei (Germania in testa) della necessità di trasferire le eccedenze di
capitali dal Nord al Sud del vecchio continente, andando a colmare quella
“frammentazione dei mercati finanziari” più volte stigmatizzata da Mario
Draghi, il numero uno della Bce la cui determinazione è finora servita per
acquistare tempo ed evitare salassi ancora più repentini e dolorosi per i
cittadini dei PIIGS europei.
Luca Spoldi
Nessun commento:
Posta un commento